
Autore: Maurizio Paolo Nicosia
Data di pubblicazione: 18 giugno 2020
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL MANAGER DEI CONSULENTI
Il 10 giugno di 20 anni fa ricevevo il mio primo incarico manageriale in una rete di consulenza finanziaria. In quel momento storico Il manager era spesso il leader campione, quello che si era distinto nell’attività e che quindi poteva trasmettere le sue conoscenza e competenze ai coordinati.
Erano gli anni 2000 quelli della bolla dei tecnologici seguita dal crollo delle Torri Gemelle. In quegli anni i primi segnali di inquinamento di un mondo basato sulla costruzione delle relazioni, sull’attenzione alla comunicazione, sulla costruzione della trattativa corretta, sul coaching, si stavano manifestando.
Ricordo di chi rimpiangeva i pionieri del nostro settore quelli che mettevano al centro l’organizzazione dell’attività strutturata secondo un metodo ben delineato. La riunione, il colloquio individuale, l’affiancamento attivo e passivo, la trattativa, i role play.
Durante quegli anni all’inizio del 2000 il modello ha cominciato ad essere abbandonato dal sistema.
Probabilmente la crescita degli strumenti a disposizione unitamente alla crescita dimensionale delle reti ha spostato il focus dal consulente al brand facendo piano piano perdere la consapevolezza e la coscienza del ruolo dei consulenti.
Ed in questo percorso di crescita la figura manageriale è stata trasformata dalle reti da coach al servizio della crescita delle competenze del consulente a figura retorica al servizio delle direttive del Brand.
Chi si occupa della fase di selezione riscontra nei candidati l’idea che la serenità all’interno delle proprie strutture venga raggiunta quando la figura manageriale non entra nel merito.
E’ maturata in modo prepotente l’idea che il manager sia un inutile orpello con l’unico vero obiettivo di drenare risorse in misura indiretta dai propri coordinati.
L’unico ruolo riconosciuto dalla struttura al manager è quello di problem solver. Il ruolo di guida sembra essere tramontato.
Ma come nel dilemma tra l’uovo e la gallina la responsabilità è del consulente o del manager?
La mia opinione è che la responsabilità è dalla trasformazione di un settore che ha perso di vista i suoi valori fondanti.
Negli anni 80 e 90 il mondo della consulenza era in fase embrionale, l’età media era bassa, la voglia di intraprendere e sperimentare tanta, il fascino di costruire le basi di un nuovo mondo professionale fungeva da volano a chi desiderava organizzare l’attività.
Il compito arduo di creare una squadra da singole partite Iva con generosità ed altruismo era quasi implicito e connaturato a questi elementi.
Oggi il settore è maturo, soprattutto in termini di età media, si sono strutturate rendite di posizione, la voglia di intraprendere è drasticamente calata. In più le mandanti utilizzano le strutture manageriali quasi come terminali commerciali scollati dalle reali esigenze dei consulenti.
Questo sicuramente contribuisce a far credere ad entrambi i soggetti, manager e consulenti, che ciascuno non ha bisogno dell’altro e che tutto procede per il meglio.
Ho l’impressione che il sistema ha in generale iniziato a sottovalutare l’importanza del ruolo del manager nel nostro settore, la sua capacità di essere volano nella crescita e nella formazione delle risorse e soprattutto la sua importanza nel creare un gioco di squadra che possa amplificare esponenzialmente i risultati dei singoli.
Io dico a tutti i colleghi manager: alzatevi e ripartite. Siamo unici e possiamo fare la differenza all’interno dei gruppi di lavoro che coordiniamo molto più di quello che pensiamo a condizione di ritornare massicciamente sui fondamentali.
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